Cass. pen. Sez. VI, (ud. 27-09-2006) 29-11-2006, n. 39486
Svolgimento del processo
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di
Caltanissetta confermava la sentenza in data 9 maggio 2003 del Tribunale di
Gela, appellata da C.M., condannata, con le attenuanti generiche, alla pena di
mesi sei di reclusione, oltre alla interdizione dai pubblici uffici per un anno
e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto
responsabile del reato di cui all'art. 328 c.p., perché, nella qualità di
infermiera generica in servizio presso l'Ospedale di Mazzarino, indebitamente
rifiutava di effettuare le operazioni di pulizia del degente B.G., sottoposto a
un intervento di resezione colica, il cui letto e le parti intime erano
imbrattate con le feci fuoriuscite dalla sacca di contenimento delle stesse,
atto che per ragioni di igiene e di sanità doveva essere compiuto senza
ritardo, accampando la scusa di provare vergogna per la differenza di sesso e
allontanandosi dal reparto per circa mezz'ora (in (OMISSIS), il (OMISSIS)).
Osservava la Corte di appello che i fatti risultavano
provati attraverso le testimonianze rese dal genero della persona offesa D.L.C.
e di quelle di Bo.Gi. e F.L., che si trovavano nel giorno del fatto ricoverati
nella stessa stanza del B..
Ricorre personalmente per cassazione l'imputata, che deduce
con un primo motivo la errata interpretazione delD.P.R. n. 225 del 1974, art.
6, in relazione all'art. 328 c.p. La predetta norma stabilisce che l'infermiere
generico coadiuva l'infermiere professionale in tutte le sue attività e
provvede direttamente a varie mansioni, tra cui la raccolta degli escreti dei
pazienti, previa prescrizione del medico.
Nella specie la situazione clinica del B. era piuttosto
delicata, dato che il medesimo aveva subito un intervento chirurgico di
laparotomia esplorativa e resezione colica, e nella specie si trattava di
effettuare il riposizionamento della sacca di raccolta degli escreti, proprio a
seguito di un errato posizionamento della stessa ad opera di un infermiere
professionale.
Non rileva che, stando alla sentenza impugnata, in quel
turno non erano presenti infermieri professionali, perché ciò poteva dipendere
da una dimenticanza di chi aveva predisposto i turni di servizio e in ogni caso
non valeva a sovvertire le regole sulle mansioni attribuite agli infermieri
generici.
Inoltre in quel momento l'imputata era impegnata
nell'attività di distribuzione del vitto, e il ritardo addebitatole è
consistito in soli 30 minuti. Nessuna specifica valutazione sulla urgenza era
stata effettuata dal giudice di appello.
Con un secondo motivo, si denuncia la violazione dell'art.
328 c.p. in relazione all'art. 47 c.p., comma 3: anche ammettendo che
l'imputata avesse errato nel ritenere non urgente l'atto, avrebbe dovuto essere
affermato che, in considerazione del breve ritardo e della mansione nella quale
la C. era in quel momento impegnata, si era nella specie trattato di un errore
scusabile.
Motivi della decisione
Il ricorso appare infondato.
Va osservato in primo luogo che, secondo la ricostruzione
dei giudici di merito, l'intervento richiesto alla infermiera C.M. era stato
sollecitato da D.L.C., genero del degente B.G., perché la stessa provvedesse a
operazioni di pulizia sul corpo del congiunto, dato che le parti intime di
questo e lo stesso letto erano imbrattati con feci fuoriuscite dalla sacca di
contenimento posizionata dopo una operazione di chirurgia addominale.
La C. aveva rifiutato di provvedere a quanto richiesto,
affermando che aveva vergogna di pulire le parti intime di una persona di sesso
maschile e si era allontanata dal reparto per circa mezz'ora.
E' su questa sola condotta che cade l'imputazione e si fonda
l'affermazione di responsabilità penale. I giudici di merito hanno infatti
osservato che il rifiuto dell'imputata di provvedere prontamente alle
operazioni di pulizia delle parti intime del paziente in ragione della
differenza di sesso era palesemente ingiustificato, e che tale incombenza
rivestiva carattere di urgenza per evidenti ragioni di igiene e sanità.
E' vero che nella sentenza impugnata si mette in rilievo
che, successivamente a tale rifiuto, dopo che il D.L. aveva deciso di
provvedere lui stesso alla pulizia del suocero e, riscontrando che la
fuoriuscita degli escreti dalla sacca derivava da un non corretto
posizionamento della stessa, aveva inutilmente suonato il campanello per circa
venti minuti, per sollecitare nuovamente l'intervento del personale
infermieristico, senza ottenere alcun risultato; ma la ritenuta colpevolezza
dell'imputata non attiene a questo ulteriore sviluppo dei fatti.
Risulta dunque incongrua, rispetto al decisum,
l'osservazione della ricorrente secondo cui l'operazione di riposizionamento
della sacca non rientrava nelle sue mansioni essendo di esclusiva pertinenza di
un medico o di un infermiere professionale; e ciò a prescindere dalla
considerazione che anche quest'ultima era una operazione di normale routine e
di facilissima esecuzione, come dichiarato dal teste dott. C.G., direttore
medico del predetto ospedale.
Non è dubbio, poi, che le operazioni di pulizia del paziente
rientrano nelle tipiche mansioni degli infermieri generici.
Infatti, a norma del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6,
l'infermiere generico, su prescrizione del medico, provvede direttamente, tra
l'altro, alle operazioni di pulizia del paziente (n. 1) e alla raccolta degli
escreti (n. 2).
La ricorrente obietta che nella specie non vi era stata
alcuna prescrizione specifica del medico circa la pulizia del paziente.
Ma la disposizione ora citata non implica, né letteralmente
né logicamente, che la prescrizione del medico avvenga necessariamente di volta
in volta per ogni intervento da effettuarsi sui pazienti, ben potendo essa
essere impartita in via generale e sulla base di turni di servizio, come nella
specie verificatosi. infatti, come messo in risalto dai giudici di merito, il
dott. C. ha dichiarato che le operazioni di pulizia dei pazienti, di norma
svolte in collaborazione tra l'infermiere professionale e l'infermiere generico,
dovevano in quella circostanza, stante l'assenza in reparto di un infermiere
professionale, essere svolte dal solo infermiere generico addetto al reparto,
sulla base di quanto previsto dai turni di servizio; e che solo con riferimento
a interventi di tipo terapeutico occorreva una specifica prescrizione del
medico.
Come già osservato dalla Corte di appello, la circostanza
addotta dall'imputata, l'essere in quel momento essa impegnata nell'attività di
distribuzione del vitto, non era affatto ostativa alla immediata effettuazione
dell'operazione di pulizia del paziente, che rivestiva un carattere di urgenza
per evidenti ragioni igienico-sanitarie, trattandosi di un paziente da poco
operato all'addome, imbrattato di escreti fecali.
Vale del resto la considerazione espressa al riguardo dal
dott. C., secondo cui la predetta incombenza aveva priorità rispetto alla
distribuzione del vitto, che ben poteva essere sospesa per i pochi minuti
necessari per la pulizia del paziente, ed essere subito dopo ripresa con ogni
garanzia igienica.
Quanto alla doglianza circa la mancata considerazione
dell'errore scusabile in punto di urgenza dell'atto, essa appare, oltre che
generica, manifestamente infondata, sia perché il rifiuto espresso
dall'imputata non atteneva a questo aspetto, ma all'inammissibile pretesa
inconciliabilità tra la prestazione richiesta e la differenza di sesso, sia
perché il riconoscimento del carattere di urgenza dell'atto implicava una
valutazione strettamente collegata alle ordinarie competenze professionali
della C., che aveva quindi tutti i necessari elementi di cognizione per non
cadere in un simile errore.
Al rigetto del ricorso consegue a norma dell'art. 616 c.p.p.
la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2006
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