Cass. pen.
Sez. IV, Sent., (ud. 14-07-2010) 27-09-2010, n. 34845
OMICIDIO COLPOSO
Responsabilità del
medico e dell'esercente professioni sanitarie
Svolgimento del
processo
Il Tribunale di
Agrigento in composizione monocratica, con sentenza emessa in data 31.10.2005,
aveva ritenuto responsabili S. L. e A.D., rispettivamente medico del reparto di
otorinolaringoiatria dell'Ospedale San Giovanni di Dio di (OMISSIS) e
infermiere presso lo stesso presidio ospedaliero, del delitto di cui agli artt.
41 e 589 c.p. per avere contribuito a cagionare la morte del minore C.A. (di
anni (OMISSIS)), avvenuta il (OMISSIS), per avere omesso il primo di prestare
assistenza, dovuta quale medico del reparto, al predetto minore che, sottoposto
ad intervento di adenotonsillectomia, presentava sintomi di insufficienza ed
incompleto recupero della forza muscolare e difficoltà respiratoria
progressiva, ed il secondo di avvisare il personale medico delle condizioni di
ingravescenza del detto C., seppure le stesse gli venissero ripetutamente
manifestate dai familiari del minore; contribuendo così entrambi a determinare
la morte del paziente, avvenuta per arresto cardio-circolatorio a seguito di
ipossia.
La pena irrogata, con
la concessione delle attenuanti generiche, consisteva in anni uno e mesi due di
reclusione.
Gli stessi venivano
inoltre condannati, in solido tra loro e con il responsabile civile - Azienda
Ospedaliera San Giovanni di Dio - nella persona del legale rappresentante Dott.
D.G., al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite C. I. e
I.G., somma determinata e liquidata in Euro 145.000 a titolo di danno morale
per ciascuno, Euro 10.000 a titolo a titolo di danno patrimoniale proprio per
ciascuno ed Euro 500 a titolo di danno ereditario per ciascuno, somma
dichiarata immediatamente esecutiva e alla rifusione delle spese di
costituzione in favore delle parti civili costituite. Subordinava infine la
concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena
all'avvenuto risarcimento del danno.
Avverso la predetta
sentenza proponevano appello gli imputati, il responsabile civile e le parti
civili incidentalmente.
La Corte di appello
di Palermo, con sentenza resa alla pubblica udienza del 16/03/2009, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento, eliminava la condizione cui
era stata subordinata la sospensione condizionale della pena inflitta a S.L.C.
ed A.D., confermava nel resto e condannava gli imputati, in solido con il
responsabile civile, alla rifusione delle spese processuali in favore delle
costituite parti civili.
Contro tale sentenza
proponevano ricorso per Cassazione S. L.C., A.D. e il responsabile civile -
Azienda Ospedaliera "S. Giovanni di Dio" di (OMISSIS) (oggi confluita
e denominata Azienda Sanitaria provinciale di (OMISSIS)), a mezzo dei loro
difensori, i quali concludevano chiedendo l'annullamento della stessa.
All'udienza del
14/07/2010 il ricorso era deciso con il compimento di tutti gli adempimenti
richiesti dal codice di rito.
Motivi della
decisione
Il ricorrente S.L.C.
censura la sentenza della Corte di Appello di Palermo per il seguente motivo:
mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, vizio che risulta
dal testo del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., comma 1,
lett. e), nonchè in reazione all'art. 589 c.p., in quanto, secondo il
ricorrente, la Corte territoriale avrebbe da un lato travisato e dall'altro non
preso nella minima considerazione delle prove determinanti raccolte nel
giudizio di primo grado, sebbene le stesse fossero state espressamente indicate
nell'atto di appello. I Giudici di seconda istanza infatti avrebbero seguito
acriticamente le conclusioni a cui erano pervenuti i periti nominati in sede di
giudizio di appello, dal momento che in atti risultavano accertamenti tecnici
del tutto contrastanti, i quali sarebbero giunti a conclusioni assolutamente approssimative,
allorquando hanno affermato che la causa della morte del bambino sarebbe stata
l'anossia anossica, causata da secrezioni di ogni genere che avrebbero invaso
le vie aeree, senza nemmeno avere valutato gli esiti della autopsia, della cu
esistenza non si dimostravano a conoscenza. Osservava poi che non rispondeva al
vero che egli fosse quel giorno il medico a disposizione del reparto, come
sostenuto dalla Corte di appello, nè che egli avesse l'obbligo di vigilare sui
bambini che avessero da poco subito un intervento di tonsillectomia, in quanto
egli avrebbe dovuto recarsi al letto del paziente solo se espressamente
chiamato dall'infermiere, cosa che non era avvenuta. Evidenziava sul punto che
il medico di reparto che operi in una situazione ordinaria, al quale non sia
stata segnalata nessuna evenienza straordinaria, non ha alcun motivo di
sorvegliare il paziente giunto in reparto, perchè egli viene dimesso dal
complesso operatorio solo quando non c'è alcun rischio e che, d'altra parte,
solo i periti nominati dalla Corte di appello avevano sostenuto, senza fornire
argomentazioni logiche, che egli dovesse visitare il bambino, sebbene nessuno
avesse sollecitato il suo intervento o gli avesse rappresentato qualcosa di
anomalo.
A.D. censurava la
sentenza impugnata per il seguente motivo: violazione e falsa applicazione
degli artt. 192, 526 e 533 c.p.p., nonchè contraddittorietà e illogicità della
motivazione e/o violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli
artt. 40, 41 e 589 c.p.. Sostiene sul punto l' A. che la sentenza impugnata gli
addebitata di avere sottovalutato i sintomi presentati dal bambino nel decorso
postoperatorio, sintomi che invece non erano tali da destare allarme. Dal
momento che, peraltro, i periti nominati dalla Corte di appello nulla hanno
affermato in termini di certezza sulla causa del decesso, non poteva essere
stabilita l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta omissiva
addebitatagli e l'evento morte, atteso che, comunque non era stato accertato se
tale eventuale svalutazione fosse stata la causa dell'evento. Il responsabile
civile - Azienda Ospedaliera "S. Giovanni di Dio" di (OMISSIS)
censura la sentenza impugnata per i seguenti motivi: 1) violazione di legge ai
sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in correlazione agli artt.
589, 40, 42 e 43 c.p..
Secondo il ricorrente
gli imputati avrebbero dovuto essere assolti, in quanto la Corte di appello
aveva travisato i fatti, dal momento che da nessun elemento processuale emergeva
che il paziente non era stato adeguatamente osservato ed assistito nella fase
post-operatoria e che la valutazione di tale fase non poteva essere lasciata
all'infermiere, che doveva avvisare il medico, in quanto il bambino,
allorquando venne trasferito nel reparto di degenza si trovava in condizioni di
normalità, senza necessità di particolari attenzioni.
Evidenziava in
particolare sul punto il responsabile civile che non potevano essere pertanto
condivise le conclusioni, cui erano pervenuti i periti nominati dalla Corte di
appello, in quanto non potevano essere aggregati tra loro in un unico contesto
temporale i sintomi, quali il vomito, la sonnolenza e la sudorazione, che si
erano succeduti in diverse scansioni e che, presi singolarmente, potevano anche
ritenersi comuni, perchè ricorrenti dopo un intervento chirurgico di
tonsillectomia. Osservava il responsabile civile ricorrente che è è un evidente
contrasto tra i diversi profili di responsabilità del dott. S., così come
ritenuti dai giudici di primo e secondo grado. Riteneva infatti la sentenza
impugnata che se l' A. lo avesse chiamato, il suo intervento avrebbe avuto di
certo l'effetto di scongiurare l'evento morte.
Se anche l'infermiere
non lo avesse chiamato, egli non avrebbe potuto non sentire le richieste di
intervento dei familiari, dal momento che si trovava nelle vicinanze del luogo
in cui si trovava il paziente.
Se poi anche egli non
avesse sentito le richieste di intervento, egli avrebbe dovuto comunque
presidiare il reparto. Tanto premesso osserva che la condotta omissiva dell'
A., secondo cui egli non avrebbe avvisato il medico, contrasterebbe con tali
ipotesi di colpa delineate a carico del dott. S., che non avrebbe potuto essere
ritenuto responsabile di un fatto addebitato ad un altro soggetto. Privo di
adeguati riscontri probatori sarebbe poi il fatto che egli avrebbe certamente
sentito le ripetute chiamate di intervento. L'eventuale sua presenza al reparto
infine sarebbe stata del tutto irrilevante atteso che la crisi di insufficienza
respiratoria sarebbe stata un fattore iperacuto e improvviso, manifestatasi in
una situazione in cui non c'era nulla di anomalo nel decorso post-operatorio.
Secondo il
responsabile civile anche la responsabilità dell'infermiere A. non risultava
provata, in quanto se i giudici di merito avessero valutato i sintomi
presentati dal paziente (vomito, sonnolenza, sudorazione) alla luce della
scansione temporale in cui si sono verificati, avrebbero dovuto ritenere che il
decorso post-operatorio fosse normale e che pertanto nessun comportamento
emissivo fosse a lui imputabile. 2) Violazione di legge ai sensi dell'art. 606
c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli articoli 538, 539, 540, 541 e
622 c.p.p., nonchè all'art. 2033 c.c. e artt. 36, 337 e 383 c.p.c..
Lamenta sul punto il
ricorrente che il riconoscimento della responsabilità penale degli imputati ha
comportato la conseguente condanna in solido del responsabile civile al
risarcimento dei danni e alle spese legali in favore delle parti civili
costituite; che peraltro il giudice di primo grado non poteva dichiarare che la
liquidazione era immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 282 c.p.c., dal
momento che questa norma non può trovare ingresso nel processo penale che
prevede espressamente l'applicazione dell'art. 540 c.p.p., il cui titolo è
appunto "provvisoria esecuzione delle disposizioni civili". Ai sensi
dell'art. 540 c.p.p. perchè il giudice penale possa dichiarare immediatamente
esecutiva la condanna alla restituzione e al risarcimento del danno sono
necessarie due condizioni, e cioè: la richiesta della parte civile e la
ricorrenza di giustificati motivi, condizioni che mancano nella fattispecie de
qua. Rilevava ancora il ricorrente che il giudice non poteva in via definitiva
determinare l'ammontare delle somme da liquidare alle parti civili costituite,
tenuto conto che le emergenze processuali non ne permettevano allo stato la
complessiva determinazione, attesa l'esistenza di un altro procedimento penale,
che vede coinvolta la dott.ssa Co. nella sua qualità di anestesista,
circostanza che avrebbe dovuto indurre il Giudice di prima istanza a
soprassedere sia alla determinazione complessiva del danno da liquidarsi alle
parti civili costituite, sia alla individuazione della percentuale di colpa da
ascrivere agli odierni imputati. Faceva quindi presente di essere stato
costretto nella sua qualità di responsabile civile ad eseguire il pagamento
delle somme indicate nella sentenza maggiorate delle spese e degli interessi,
in conseguenza dell'azione esecutiva attivata dalle parti civili e
conseguentemente chiedeva che fosse disposta la revoca del capo della sentenza
con la quale erano state determinate e liquidate alle parti civili costituite
le somme a titolo di risarcimento dei danni dichiarate immediatamente esecutive
e che fosse disposta la restituzione delle somme pagate in forza della sentenza
di primo grado, lamentando che sul punto la sentenza impugnata non aveva
argomentato alcunchè.
Tanto premesso si
osserva che le decisioni del Tribunale di Agrigento in composizione monocratica
e della Corte di Appello di Palermo costituiscono un compendio motivazionale
complesso in cui la motivazione della sentenza di primo grado integra quella
della sentenza di appello e che dalla lettura di entrambe le decisioni appare
chiaro il percorso che ha indotto quei giudici a ritenere S.L.C. e A.D.
responsabili del reato loro ascritto. Per quanto attiene alla posizione del
dott. S., è pacifico che quel giorno gli fosse affidata la sorveglianza del
decorso post-operatorio dei pazienti che, dopo avere subito l'intervento
chirurgico, erano stati trasportati in sala degenza.
Rileva sul punto
correttamente l'impugnata sentenza che tale sorveglianza non poteva limitarsi
ad una mera "reperibilità", ma doveva concretizzarsi nell'effettuare
ripetute visite in sala degenza per controllare la regolarità del decorso
post-operatorio dei pazienti.
Per quanto poi
attiene all'infermiere A.D., la sentenza impugnata evidenzia che i parenti del
piccolo C.A., allarmati per le condizioni del bambino, lo avevano più volte
chiamato e lo avevano sollecitato a chiamare il medico, ma egli soltanto una
volta si era avvicinato al letto del piccolo, senza però visionare il vomito e
senza neppure toccare il paziente, che già presentava uno stato soporoso e
difficoltà di respirazione. Lo stesso poi non avvertiva il medico, pur
assicurando i parenti del bambino di averlo fatto. La sentenza impugnata
evidenzia come i sintomi presentati dal bambino, quali sonnolenza, vomito,
sudorazione, che isolatamente considerati, avrebbero potuto destare non
eccessive preoccupazioni, si erano andati via via aggravando nelle due ore
successive all'intervento, senza che l'infermiere A. si preoccupasse
minimamente di avvertire il medico e senza che il dott. S., che pure si trovava
in medicheria, poco lontano dal letto del paziente, facesse una visita di
controllo al bambino, nonostante che i genitori allarmati sollecitassero
continuamente l'infermiere affinchè avvertisse il medico.
L'intervento del
medico c'è stato soltanto quando la situazione era già precipitata a causa
della grave crisi respiratoria che ha colpito il piccolo, determinata
dall'ingresso nell'albero bronchiale di vomito ed accumuli di secrezione
ematica che hanno ostruito progressivamente le vie respiratorie.
Correttamente la
sentenza impugnata, pertanto, ha ritenuto di condividere le conclusioni dei
periti, che hanno accertato che i sintomi presentati dal bambino dovevano
essere tempestivamente valutati da un medico che doveva visionare il vomito
scuro e accorgersi del pericolo che lo stesso prendesse la strada dell'apparato
respiratorio, anzichè quella dell'esofago; e, in questa situazione, avrebbe
dovuto tempestivamente provvedere ad eliminare le secrezioni con l'aspiratore
oppure provvedere a riportare subito il bambino in sala operatoria, ove non
sarebbe decorso quel periodo di tempo fatale per il verificarsi dell'ipossia, a
cui è collegato il decesso.
Sussiste pertanto il
nesso di causalità tra le condotte omissive dell'infermiere A., che non ha
provveduto ad avvertire per tempo il medico circa le condizioni del piccolo
C.A. e del dott. S. che, sebbene dovesse sorvegliare la sala degenze, non aveva
fatto neppure una breve visita di controllo al piccolo. Si osserva, a tal
proposito, che il rapporto di causalità costituisce un criterio di imputazione
oggettiva di un evento alla condotta di un soggetto; solo se l'evento può
essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l'agente potrà essere tenuto a
risponderne, sempre che concorrano i criteri di imputabilità soggettiva.
Peraltro, nella ipotesi di causalità omissiva, il decorso degli avvenimenti non
è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un
soggetto; per cui la causalità omissiva si configura come una costruzione
giuridica ( art. 40 c.p., comma 2, che, non a caso, usa la locuzione
"equivale": non impedire equivale a cagionare), che consente di
ricostruire l'imputabilità oggettiva come violazione di un obbligo di agire, di
impedire il verificarsi dell'evento (in violazione del cosiddetto obbligo di
garanzia); omissione che provoca l'evento di pericolo o di danno (reati
omissivi impropri o commissivi mediante omissione); contrapposti ai reati
omissivi propri nei quali il reato si perfeziona con la mera omissione della
condotta dovuta.
Nei reati omissivi
impropri, quindi, la causalità, proprio per essere giustificata in base ad una
ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali
esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce una causalità
costruita su ipotesi e non già su certezze. Si tratta quindi di una causalità
ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva su di un giudizio contro
fattuale ("contro i fatti": se l'intervento omesso fosse stato
adottato, si sarebbe evitato il prodursi dell'evento?) alla quale si fa ricorso
per ricostruire una sequenza che, però, a differenza della causalità
commissiva, non potrà mai avere una verifica fenomenica.
Con la sentenza
Franzese del 10 luglio 2002 n. 30328 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione
hanno posto un punto fermo su questa complessa problematica.
Secondo la sentenza
di cui sopra "nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di
causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del
solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato sulla
base di un giudizio di alta probabilità logica, sicchè esso è configurabile
solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata
doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento,
con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero
avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore
intensità lesiva".
Pertanto, in tema di
causalità nei reati omissivi impropri, può pervenirsi al giudizio di
responsabilità solo quando, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia
escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e
"processualmente certa" la conclusione che la condotta omissiva
dell'imputato è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o
elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica".
Ciò premesso si osserva che i ricorrenti si dolgono del fatto che non sarebbero
state valutate delle circostanze che farebbero venire meno il rapporto di
causalità. Non sarebbe provata la connessione tra il decesso del bambino e i
loro pretesi comportamenti omissivi. Tali doglianze dei ricorrenti non possono
essere condivise sulla base delle considerazioni di cui sopra.
In conclusione la
sentenza impugnata conclude correttamente per la sussistenza del nesso di
causalità tra la condotta omissiva tenuta dai ricorrenti S. e A. e il decesso
di C.A., dal momento che, secondo periti, lo stesso si sarebbe potuto salvare,
con alto grado di probabilità logica, se i sintomi da lui presentati fossero
stati correttamente e tempestivamente valutati.
Per quanto infine
attiene al secondo motivo del ricorso proposto dall'Azienda Ospedaliera
"San Giovanni di Dio" di (OMISSIS), si osserva che la Corte di
appello di Palermo ha revocato il capo della sentenza del Tribunale di
Agrigento del 31.10.2005, con il quale era stata dichiarata provvisoriamente
esecutiva la condanna al risarcimento dei danni pronunziata nei confronti della
sopraindicata Azienda Ospedaliera di (OMISSIS), nonchè, per l'effetto
estensivo, nei confronti di S.L.C. e A.D..
Per quanto poi
attiene all'istanza di restituzione di quanto pagato, che l'Azienda Ospedaliera
aveva già formulato nei motivi di appello, si osserva che correttamente la
sentenza impugnata ha ritenuto di non potere provvedere ad una eventuale
restituzione, attenendo la stessa a questioni di carattere civilistico,
risolvibili autonomamente una volta divenuta definitiva la sentenza.
Parimenti non è
accoglibile la doglianza concernente l'ammontare delle somme da liquidare alle
costituite parti civili a titolo di risarcimento del danno, essendo tale
determinazione di competenza del giudice di merito.
I ricorsi devono
essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese
processuali oltre in solido alla rifusione di quelle sostenute dalle parti
civili nel presente giudizio liquidate in complessivi Euro 4000 oltre accessori
come per legge.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e
condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, oltre in solido
alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili nel presente giudizio
liquidate in complessivi Euro 4000 oltre accessori come per legge.
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