lunedì 25 novembre 2013

Reato per l’infermiera che non lava i pazienti. E' omissione di atti di ufficio

Cass. pen. Sez. VI, (ud. 27-09-2006) 29-11-2006, n. 39486
Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Caltanissetta confermava la sentenza in data 9 maggio 2003 del Tribunale di Gela, appellata da C.M., condannata, con le attenuanti generiche, alla pena di mesi sei di reclusione, oltre alla interdizione dai pubblici uffici per un anno e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in quanto responsabile del reato di cui all'art. 328 c.p., perché, nella qualità di infermiera generica in servizio presso l'Ospedale di Mazzarino, indebitamente rifiutava di effettuare le operazioni di pulizia del degente B.G., sottoposto a un intervento di resezione colica, il cui letto e le parti intime erano imbrattate con le feci fuoriuscite dalla sacca di contenimento delle stesse, atto che per ragioni di igiene e di sanità doveva essere compiuto senza ritardo, accampando la scusa di provare vergogna per la differenza di sesso e allontanandosi dal reparto per circa mezz'ora (in (OMISSIS), il (OMISSIS)).
Osservava la Corte di appello che i fatti risultavano provati attraverso le testimonianze rese dal genero della persona offesa D.L.C. e di quelle di Bo.Gi. e F.L., che si trovavano nel giorno del fatto ricoverati nella stessa stanza del B..
Ricorre personalmente per cassazione l'imputata, che deduce con un primo motivo la errata interpretazione delD.P.R. n. 225 del 1974, art. 6, in relazione all'art. 328 c.p. La predetta norma stabilisce che l'infermiere generico coadiuva l'infermiere professionale in tutte le sue attività e provvede direttamente a varie mansioni, tra cui la raccolta degli escreti dei pazienti, previa prescrizione del medico.
Nella specie la situazione clinica del B. era piuttosto delicata, dato che il medesimo aveva subito un intervento chirurgico di laparotomia esplorativa e resezione colica, e nella specie si trattava di effettuare il riposizionamento della sacca di raccolta degli escreti, proprio a seguito di un errato posizionamento della stessa ad opera di un infermiere professionale.
Non rileva che, stando alla sentenza impugnata, in quel turno non erano presenti infermieri professionali, perché ciò poteva dipendere da una dimenticanza di chi aveva predisposto i turni di servizio e in ogni caso non valeva a sovvertire le regole sulle mansioni attribuite agli infermieri generici.
Inoltre in quel momento l'imputata era impegnata nell'attività di distribuzione del vitto, e il ritardo addebitatole è consistito in soli 30 minuti. Nessuna specifica valutazione sulla urgenza era stata effettuata dal giudice di appello.
Con un secondo motivo, si denuncia la violazione dell'art. 328 c.p. in relazione all'art. 47 c.p., comma 3: anche ammettendo che l'imputata avesse errato nel ritenere non urgente l'atto, avrebbe dovuto essere affermato che, in considerazione del breve ritardo e della mansione nella quale la C. era in quel momento impegnata, si era nella specie trattato di un errore scusabile.
Motivi della decisione

Il ricorso appare infondato.
Va osservato in primo luogo che, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, l'intervento richiesto alla infermiera C.M. era stato sollecitato da D.L.C., genero del degente B.G., perché la stessa provvedesse a operazioni di pulizia sul corpo del congiunto, dato che le parti intime di questo e lo stesso letto erano imbrattati con feci fuoriuscite dalla sacca di contenimento posizionata dopo una operazione di chirurgia addominale.
La C. aveva rifiutato di provvedere a quanto richiesto, affermando che aveva vergogna di pulire le parti intime di una persona di sesso maschile e si era allontanata dal reparto per circa mezz'ora.
E' su questa sola condotta che cade l'imputazione e si fonda l'affermazione di responsabilità penale. I giudici di merito hanno infatti osservato che il rifiuto dell'imputata di provvedere prontamente alle operazioni di pulizia delle parti intime del paziente in ragione della differenza di sesso era palesemente ingiustificato, e che tale incombenza rivestiva carattere di urgenza per evidenti ragioni di igiene e sanità.
E' vero che nella sentenza impugnata si mette in rilievo che, successivamente a tale rifiuto, dopo che il D.L. aveva deciso di provvedere lui stesso alla pulizia del suocero e, riscontrando che la fuoriuscita degli escreti dalla sacca derivava da un non corretto posizionamento della stessa, aveva inutilmente suonato il campanello per circa venti minuti, per sollecitare nuovamente l'intervento del personale infermieristico, senza ottenere alcun risultato; ma la ritenuta colpevolezza dell'imputata non attiene a questo ulteriore sviluppo dei fatti.
Risulta dunque incongrua, rispetto al decisum, l'osservazione della ricorrente secondo cui l'operazione di riposizionamento della sacca non rientrava nelle sue mansioni essendo di esclusiva pertinenza di un medico o di un infermiere professionale; e ciò a prescindere dalla considerazione che anche quest'ultima era una operazione di normale routine e di facilissima esecuzione, come dichiarato dal teste dott. C.G., direttore medico del predetto ospedale.
Non è dubbio, poi, che le operazioni di pulizia del paziente rientrano nelle tipiche mansioni degli infermieri generici.
Infatti, a norma del D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6, l'infermiere generico, su prescrizione del medico, provvede direttamente, tra l'altro, alle operazioni di pulizia del paziente (n. 1) e alla raccolta degli escreti (n. 2).
La ricorrente obietta che nella specie non vi era stata alcuna prescrizione specifica del medico circa la pulizia del paziente.
Ma la disposizione ora citata non implica, né letteralmente né logicamente, che la prescrizione del medico avvenga necessariamente di volta in volta per ogni intervento da effettuarsi sui pazienti, ben potendo essa essere impartita in via generale e sulla base di turni di servizio, come nella specie verificatosi. infatti, come messo in risalto dai giudici di merito, il dott. C. ha dichiarato che le operazioni di pulizia dei pazienti, di norma svolte in collaborazione tra l'infermiere professionale e l'infermiere generico, dovevano in quella circostanza, stante l'assenza in reparto di un infermiere professionale, essere svolte dal solo infermiere generico addetto al reparto, sulla base di quanto previsto dai turni di servizio; e che solo con riferimento a interventi di tipo terapeutico occorreva una specifica prescrizione del medico.
Come già osservato dalla Corte di appello, la circostanza addotta dall'imputata, l'essere in quel momento essa impegnata nell'attività di distribuzione del vitto, non era affatto ostativa alla immediata effettuazione dell'operazione di pulizia del paziente, che rivestiva un carattere di urgenza per evidenti ragioni igienico-sanitarie, trattandosi di un paziente da poco operato all'addome, imbrattato di escreti fecali.
Vale del resto la considerazione espressa al riguardo dal dott. C., secondo cui la predetta incombenza aveva priorità rispetto alla distribuzione del vitto, che ben poteva essere sospesa per i pochi minuti necessari per la pulizia del paziente, ed essere subito dopo ripresa con ogni garanzia igienica.
Quanto alla doglianza circa la mancata considerazione dell'errore scusabile in punto di urgenza dell'atto, essa appare, oltre che generica, manifestamente infondata, sia perché il rifiuto espresso dall'imputata non atteneva a questo aspetto, ma all'inammissibile pretesa inconciliabilità tra la prestazione richiesta e la differenza di sesso, sia perché il riconoscimento del carattere di urgenza dell'atto implicava una valutazione strettamente collegata alle ordinarie competenze professionali della C., che aveva quindi tutti i necessari elementi di cognizione per non cadere in un simile errore.
Al rigetto del ricorso consegue a norma dell'art. 616 c.p.p. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2006.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2006

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