lunedì 25 novembre 2013

ESERCIZIO ABUSIVO DI PROFESSIONE

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 21-05-2012) 16-07-2012, n. 28480
Integra il delitto di esercizio abusivo della professione lo svolgimento di attività infermieristiche (nella specie, presso un centro di cura per anziani) da parte di un infermiere generico senza la presenza in turno di un infermiere professionale o di un medico.
Svolgimento del processo

1. G.A.M. fu condannata dal Tribunale di Genova alla pena (condonata) di tre mesi di reclusione per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 348 c.p., per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, esercitato abusivamente presso la struttura per anziana (OMISSIS), l'attività di infermiera professionale, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.

2. La Corte d'appello ha confermato la condanna, disponendone la non menzione sul certificato del casellario giudiziale ex art. 175 c.p..

3. Ricorre per cassazione il difensore dell'imputata, deducendo:

- vizi di motivazione della sentenza e inosservanza o erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'art. 348 c.p. e D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6, in ordine alla ritenuta responsabilità penale;

- vizio di motivazione sul diniego di circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

1. Il ricorso, al limite dell'inammissibilità per la ripetitività di deduzioni già esaminate e rigettate dalla Corte d'appello, non merita accoglimento.

2. I dedotti vizi di motivazione - relativi: all'apprezzamento della testimonianza del teste R.; alla ritenuta assenza di personale sanitario diverso dall'imputata durante i turni di notte; alla diretta effettuazione da parte della G. degli atti propri dell'infermiere professionale, dalla stessa imputata annotati nel quaderno dei turni infermieristici - si risolvono in censure di fatto alla valutazione degli elementi probatori operata dai giudici del merito, inammissibili sia a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 3, sia ai sensi del cit. articolo, comma 1, lett. e), giacchè la predetta valutazione è stata compiutamente resa in sentenza con motivazione giuridicamente corretta ed indenne dai vizi logici.

2.1. All'espressa motivazione della sentenza d'appello va aggiunto quanto evidenziato dal primo giudice (la cui motivazione è stata richiamata dalla sentenza impugnata) in ordine alla condotta tenuta dall'imputata al fine di svolgere presso la struttura "(OMISSIS)" l'attività di infermiere professionale, pur essendo priva del relativo diploma e dell'iscrizione all'albo professionale.

L'assoluzione, pronunciata dal Tribunale dal reato di cui agli artt. 477 e 482 c.p. (contestato per avere contraffatto le certificazioni amministrative attestanti il conseguimento del diploma di infermiere professionale e l'iscrizione all'albo), è derivata dall'accertata produzione di copie fotostatiche mancanti della dichiarazione di conformità all'originale, ma il giudice di primo grado non ha mancato di puntualizzare che all'imputata andava contestato e addebitato un fatto diverso per essersi accreditata come persona titolare di quel diploma al fine di trarre in inganno il datore di lavoro.

L'accertamento del compimento di atti propri della professione infermieristica - tra cui anche compiti esulanti dall'elenco del D.P.R. n. 225 del 1974, art. 6, come il posizionamento di flebo (che non appare riconducibile alla mera sorveglianza di flebodisi) e il lavaggio (che altro non significa se non lavanda vescicale) - è avvalorata dall'assoluzione "tecnica" dal reato di falso, la cui motivazione evidenzia la condotta dell'imputata volta ad accreditarsi come infermiere professionale, ciò che ovviamente esimeva la direzione della "(OMISSIS)" dalla predisposizione di turni di lavoro con la contemporanea presenza di altro infermiere professionale.

3. Il ritenuto e motivato accertamento dei giudici sugli atti propri dell'infermiere professionale, compiuti e annotati dell'imputata, rendono irrilevanti le considerazioni espresse in ricorso con il quinto motivo, il quale deduce "violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) con riferimento all'art. 348 c.p. e D.P.R. n. 225 del 1974, art. 6" ed elenca le mansioni che l'infermiere generico poteva svolgere, in forza del predetto art. 6, non abrogato dalla L. 26 febbraio 1999, n. 42, recante disposizioni in materia di professioni sanitarie.

3.1. In proposito, va precisato che la normativa intervenuta nell'ultima decade del secolo scorso (D.Lgs. dicembre 1992, n. 502, art. 6, comma 3; D.M. 14 settembre 1994, n. 739; L. 26 febbraio 1999, n. 42, art. 1; L. 10 agosto 2000, n. 251; D.M. 29 marzo 2001; DD.MM. 2 aprile 2001) ha completamente innovato fa disciplina della professione infermieristica, definendo gli specifici requisiti necessari per il suo esercizio non abusivo, introducendo la necessità del diploma universitario, realizzando un accrescimento della preparazione tecnica e professionale, eliminando la pregressa distinzione tra infermiere generico e infermiere professionale, sino a delineare una moderna e qualificata professione infermieristica.

Le mansioni "assistenziali" già attribuite dal sopravvissuto D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6, all'infermiere generico (e ricomprese, d'altronde, anche nel più largo elenco relativo all'infermiere professionale di cui all'abrogato art. 2 dello stesso decreto presidenziale) sono da ricondurre nel più ampio quadro delle funzioni spettanti all'unica figura di infermiere professionista oggi esistente, come definite dal citato D.M. n. 739 del 1994, art. 1 (e successivamente perfezionate dalla legislazione più recente, sino alla L. 1 febbraio 2006, n. 43, art. 6, intervenuta dopo i fatti addebitati all'imputata).

Ne deriva che l'eventuale acquisizione della autonoma qualifica di infermiere generico, in forza della disciplina anteriore alla modifica del quadro normativo, con relativa possibile conservazione della stessa ad personam, andava specificamente dedotta e comprovata dall'interessata.

3.2. In ogni caso, anche a prescindere dalle considerazioni appena svolte, mette conto puntualizzare che il D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225, art. 6 (recante modifiche al R.D. 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali e infermieri generici) all'elenco delle mansioni che potevano essere espletate dall'infermiere generico si premurava di premettere che "l'infermiere generico coadiuva l'infermiere professionale in tutte le sue attività e su prescrizione del medico provvede direttamente alle seguenti operazioni", ribadendo nella sostanza la previsione del R.D. n. 1310 del 1940, art. 4, secondo cui "l'attività degli infermieri generici, deve essere limitata a determinate mansioni, per prescrizione del medico, nell'ambito ospedaliero, sotto la responsabilità dell'infermiera professionale".

Tali previsioni, escludendo la possibilità che un infermiere generico potesse prestare le sue attività senza la presenza in turno di un infermiere professionale e di un medico, forniscono ulteriore conferma che - in assenza di medico e di altro (vero) infermiere professionale - l'imputata svolgeva abusivamente attività di infermiera professionale.

4. Infondata è la censura relativa al diniego delle circostanze attenuanti generiche, adeguatamente motivato dalla Corte territoriale con riferimento alla gravità dei fatti, alla personalità dell'imputata e alla mancanza di ogni valido elemento a sostegno della richiesta.

5. Pur dovendosi rigettare tutti i motivi di ricorso, la sentenza impugnata va annullata limitatamente agli episodi delittuosi che risultano ormai prescritti, ossia tutti quelli commessi dal (OMISSIS), maturandosi oggi il periodo di sette anni e mezzo, che costituisce, a norma dell'art. 157 c.p., il termine massimo di prescrizione per il delitto di cui all'art. 348 c.p., tenuto conto del criterio di calcolo utilizzato dai giudici di merito, la pena (condonata) va rideterminata in due mesi e un giorno di reclusione.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai fatti commessi sino al (OMISSIS) perchè i reati sono estinti per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso e ridetermina la pena in mesi due e giorni uno di reclusione.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012


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