lunedì 25 novembre 2013

Qualora dopo un intervento chirurgico il paziente muoia, è responsabile, a titolo di omicidio colposo, anche l'infermiere, il quale, messo in dubbio dai parenti della vittima circa le condizioni di salute della stessa, non allerti il medico di guardia.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 14-07-2010) 27-09-2010, n. 34845
OMICIDIO COLPOSO
Responsabilità del medico e dell'esercente professioni sanitarie
Svolgimento del processo

Il Tribunale di Agrigento in composizione monocratica, con sentenza emessa in data 31.10.2005, aveva ritenuto responsabili S. L. e A.D., rispettivamente medico del reparto di otorinolaringoiatria dell'Ospedale San Giovanni di Dio di (OMISSIS) e infermiere presso lo stesso presidio ospedaliero, del delitto di cui agli artt. 41 e 589 c.p. per avere contribuito a cagionare la morte del minore C.A. (di anni (OMISSIS)), avvenuta il (OMISSIS), per avere omesso il primo di prestare assistenza, dovuta quale medico del reparto, al predetto minore che, sottoposto ad intervento di adenotonsillectomia, presentava sintomi di insufficienza ed incompleto recupero della forza muscolare e difficoltà respiratoria progressiva, ed il secondo di avvisare il personale medico delle condizioni di ingravescenza del detto C., seppure le stesse gli venissero ripetutamente manifestate dai familiari del minore; contribuendo così entrambi a determinare la morte del paziente, avvenuta per arresto cardio-circolatorio a seguito di ipossia.

La pena irrogata, con la concessione delle attenuanti generiche, consisteva in anni uno e mesi due di reclusione.

Gli stessi venivano inoltre condannati, in solido tra loro e con il responsabile civile - Azienda Ospedaliera San Giovanni di Dio - nella persona del legale rappresentante Dott. D.G., al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite C. I. e I.G., somma determinata e liquidata in Euro 145.000 a titolo di danno morale per ciascuno, Euro 10.000 a titolo a titolo di danno patrimoniale proprio per ciascuno ed Euro 500 a titolo di danno ereditario per ciascuno, somma dichiarata immediatamente esecutiva e alla rifusione delle spese di costituzione in favore delle parti civili costituite. Subordinava infine la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'avvenuto risarcimento del danno.

Avverso la predetta sentenza proponevano appello gli imputati, il responsabile civile e le parti civili incidentalmente.

La Corte di appello di Palermo, con sentenza resa alla pubblica udienza del 16/03/2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento, eliminava la condizione cui era stata subordinata la sospensione condizionale della pena inflitta a S.L.C. ed A.D., confermava nel resto e condannava gli imputati, in solido con il responsabile civile, alla rifusione delle spese processuali in favore delle costituite parti civili.

Contro tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione S. L.C., A.D. e il responsabile civile - Azienda Ospedaliera "S. Giovanni di Dio" di (OMISSIS) (oggi confluita e denominata Azienda Sanitaria provinciale di (OMISSIS)), a mezzo dei loro difensori, i quali concludevano chiedendo l'annullamento della stessa.

All'udienza del 14/07/2010 il ricorso era deciso con il compimento di tutti gli adempimenti richiesti dal codice di rito.

Motivi della decisione

Il ricorrente S.L.C. censura la sentenza della Corte di Appello di Palermo per il seguente motivo:

mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, vizio che risulta dal testo del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione all'art. 125 c.p.p., comma 3, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè in reazione all'art. 589 c.p., in quanto, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe da un lato travisato e dall'altro non preso nella minima considerazione delle prove determinanti raccolte nel giudizio di primo grado, sebbene le stesse fossero state espressamente indicate nell'atto di appello. I Giudici di seconda istanza infatti avrebbero seguito acriticamente le conclusioni a cui erano pervenuti i periti nominati in sede di giudizio di appello, dal momento che in atti risultavano accertamenti tecnici del tutto contrastanti, i quali sarebbero giunti a conclusioni assolutamente approssimative, allorquando hanno affermato che la causa della morte del bambino sarebbe stata l'anossia anossica, causata da secrezioni di ogni genere che avrebbero invaso le vie aeree, senza nemmeno avere valutato gli esiti della autopsia, della cu esistenza non si dimostravano a conoscenza. Osservava poi che non rispondeva al vero che egli fosse quel giorno il medico a disposizione del reparto, come sostenuto dalla Corte di appello, nè che egli avesse l'obbligo di vigilare sui bambini che avessero da poco subito un intervento di tonsillectomia, in quanto egli avrebbe dovuto recarsi al letto del paziente solo se espressamente chiamato dall'infermiere, cosa che non era avvenuta. Evidenziava sul punto che il medico di reparto che operi in una situazione ordinaria, al quale non sia stata segnalata nessuna evenienza straordinaria, non ha alcun motivo di sorvegliare il paziente giunto in reparto, perchè egli viene dimesso dal complesso operatorio solo quando non c'è alcun rischio e che, d'altra parte, solo i periti nominati dalla Corte di appello avevano sostenuto, senza fornire argomentazioni logiche, che egli dovesse visitare il bambino, sebbene nessuno avesse sollecitato il suo intervento o gli avesse rappresentato qualcosa di anomalo.

A.D. censurava la sentenza impugnata per il seguente motivo: violazione e falsa applicazione degli artt. 192, 526 e 533 c.p.p., nonchè contraddittorietà e illogicità della motivazione e/o violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 40, 41 e 589 c.p.. Sostiene sul punto l' A. che la sentenza impugnata gli addebitata di avere sottovalutato i sintomi presentati dal bambino nel decorso postoperatorio, sintomi che invece non erano tali da destare allarme. Dal momento che, peraltro, i periti nominati dalla Corte di appello nulla hanno affermato in termini di certezza sulla causa del decesso, non poteva essere stabilita l'esistenza di un nesso eziologico tra la condotta omissiva addebitatagli e l'evento morte, atteso che, comunque non era stato accertato se tale eventuale svalutazione fosse stata la causa dell'evento. Il responsabile civile - Azienda Ospedaliera "S. Giovanni di Dio" di (OMISSIS) censura la sentenza impugnata per i seguenti motivi: 1) violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in correlazione agli artt. 589, 40, 42 e 43 c.p..

Secondo il ricorrente gli imputati avrebbero dovuto essere assolti, in quanto la Corte di appello aveva travisato i fatti, dal momento che da nessun elemento processuale emergeva che il paziente non era stato adeguatamente osservato ed assistito nella fase post-operatoria e che la valutazione di tale fase non poteva essere lasciata all'infermiere, che doveva avvisare il medico, in quanto il bambino, allorquando venne trasferito nel reparto di degenza si trovava in condizioni di normalità, senza necessità di particolari attenzioni.

Evidenziava in particolare sul punto il responsabile civile che non potevano essere pertanto condivise le conclusioni, cui erano pervenuti i periti nominati dalla Corte di appello, in quanto non potevano essere aggregati tra loro in un unico contesto temporale i sintomi, quali il vomito, la sonnolenza e la sudorazione, che si erano succeduti in diverse scansioni e che, presi singolarmente, potevano anche ritenersi comuni, perchè ricorrenti dopo un intervento chirurgico di tonsillectomia. Osservava il responsabile civile ricorrente che è è un evidente contrasto tra i diversi profili di responsabilità del dott. S., così come ritenuti dai giudici di primo e secondo grado. Riteneva infatti la sentenza impugnata che se l' A. lo avesse chiamato, il suo intervento avrebbe avuto di certo l'effetto di scongiurare l'evento morte.

Se anche l'infermiere non lo avesse chiamato, egli non avrebbe potuto non sentire le richieste di intervento dei familiari, dal momento che si trovava nelle vicinanze del luogo in cui si trovava il paziente.

Se poi anche egli non avesse sentito le richieste di intervento, egli avrebbe dovuto comunque presidiare il reparto. Tanto premesso osserva che la condotta omissiva dell' A., secondo cui egli non avrebbe avvisato il medico, contrasterebbe con tali ipotesi di colpa delineate a carico del dott. S., che non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile di un fatto addebitato ad un altro soggetto. Privo di adeguati riscontri probatori sarebbe poi il fatto che egli avrebbe certamente sentito le ripetute chiamate di intervento. L'eventuale sua presenza al reparto infine sarebbe stata del tutto irrilevante atteso che la crisi di insufficienza respiratoria sarebbe stata un fattore iperacuto e improvviso, manifestatasi in una situazione in cui non c'era nulla di anomalo nel decorso post-operatorio.

Secondo il responsabile civile anche la responsabilità dell'infermiere A. non risultava provata, in quanto se i giudici di merito avessero valutato i sintomi presentati dal paziente (vomito, sonnolenza, sudorazione) alla luce della scansione temporale in cui si sono verificati, avrebbero dovuto ritenere che il decorso post-operatorio fosse normale e che pertanto nessun comportamento emissivo fosse a lui imputabile. 2) Violazione di legge ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione agli articoli 538, 539, 540, 541 e 622 c.p.p., nonchè all'art. 2033 c.c. e artt. 36, 337 e 383 c.p.c..

Lamenta sul punto il ricorrente che il riconoscimento della responsabilità penale degli imputati ha comportato la conseguente condanna in solido del responsabile civile al risarcimento dei danni e alle spese legali in favore delle parti civili costituite; che peraltro il giudice di primo grado non poteva dichiarare che la liquidazione era immediatamente esecutiva ai sensi dell'art. 282 c.p.c., dal momento che questa norma non può trovare ingresso nel processo penale che prevede espressamente l'applicazione dell'art. 540 c.p.p., il cui titolo è appunto "provvisoria esecuzione delle disposizioni civili". Ai sensi dell'art. 540 c.p.p. perchè il giudice penale possa dichiarare immediatamente esecutiva la condanna alla restituzione e al risarcimento del danno sono necessarie due condizioni, e cioè: la richiesta della parte civile e la ricorrenza di giustificati motivi, condizioni che mancano nella fattispecie de qua. Rilevava ancora il ricorrente che il giudice non poteva in via definitiva determinare l'ammontare delle somme da liquidare alle parti civili costituite, tenuto conto che le emergenze processuali non ne permettevano allo stato la complessiva determinazione, attesa l'esistenza di un altro procedimento penale, che vede coinvolta la dott.ssa Co. nella sua qualità di anestesista, circostanza che avrebbe dovuto indurre il Giudice di prima istanza a soprassedere sia alla determinazione complessiva del danno da liquidarsi alle parti civili costituite, sia alla individuazione della percentuale di colpa da ascrivere agli odierni imputati. Faceva quindi presente di essere stato costretto nella sua qualità di responsabile civile ad eseguire il pagamento delle somme indicate nella sentenza maggiorate delle spese e degli interessi, in conseguenza dell'azione esecutiva attivata dalle parti civili e conseguentemente chiedeva che fosse disposta la revoca del capo della sentenza con la quale erano state determinate e liquidate alle parti civili costituite le somme a titolo di risarcimento dei danni dichiarate immediatamente esecutive e che fosse disposta la restituzione delle somme pagate in forza della sentenza di primo grado, lamentando che sul punto la sentenza impugnata non aveva argomentato alcunchè.

Tanto premesso si osserva che le decisioni del Tribunale di Agrigento in composizione monocratica e della Corte di Appello di Palermo costituiscono un compendio motivazionale complesso in cui la motivazione della sentenza di primo grado integra quella della sentenza di appello e che dalla lettura di entrambe le decisioni appare chiaro il percorso che ha indotto quei giudici a ritenere S.L.C. e A.D. responsabili del reato loro ascritto. Per quanto attiene alla posizione del dott. S., è pacifico che quel giorno gli fosse affidata la sorveglianza del decorso post-operatorio dei pazienti che, dopo avere subito l'intervento chirurgico, erano stati trasportati in sala degenza.

Rileva sul punto correttamente l'impugnata sentenza che tale sorveglianza non poteva limitarsi ad una mera "reperibilità", ma doveva concretizzarsi nell'effettuare ripetute visite in sala degenza per controllare la regolarità del decorso post-operatorio dei pazienti.

Per quanto poi attiene all'infermiere A.D., la sentenza impugnata evidenzia che i parenti del piccolo C.A., allarmati per le condizioni del bambino, lo avevano più volte chiamato e lo avevano sollecitato a chiamare il medico, ma egli soltanto una volta si era avvicinato al letto del piccolo, senza però visionare il vomito e senza neppure toccare il paziente, che già presentava uno stato soporoso e difficoltà di respirazione. Lo stesso poi non avvertiva il medico, pur assicurando i parenti del bambino di averlo fatto. La sentenza impugnata evidenzia come i sintomi presentati dal bambino, quali sonnolenza, vomito, sudorazione, che isolatamente considerati, avrebbero potuto destare non eccessive preoccupazioni, si erano andati via via aggravando nelle due ore successive all'intervento, senza che l'infermiere A. si preoccupasse minimamente di avvertire il medico e senza che il dott. S., che pure si trovava in medicheria, poco lontano dal letto del paziente, facesse una visita di controllo al bambino, nonostante che i genitori allarmati sollecitassero continuamente l'infermiere affinchè avvertisse il medico.

L'intervento del medico c'è stato soltanto quando la situazione era già precipitata a causa della grave crisi respiratoria che ha colpito il piccolo, determinata dall'ingresso nell'albero bronchiale di vomito ed accumuli di secrezione ematica che hanno ostruito progressivamente le vie respiratorie.

Correttamente la sentenza impugnata, pertanto, ha ritenuto di condividere le conclusioni dei periti, che hanno accertato che i sintomi presentati dal bambino dovevano essere tempestivamente valutati da un medico che doveva visionare il vomito scuro e accorgersi del pericolo che lo stesso prendesse la strada dell'apparato respiratorio, anzichè quella dell'esofago; e, in questa situazione, avrebbe dovuto tempestivamente provvedere ad eliminare le secrezioni con l'aspiratore oppure provvedere a riportare subito il bambino in sala operatoria, ove non sarebbe decorso quel periodo di tempo fatale per il verificarsi dell'ipossia, a cui è collegato il decesso.

Sussiste pertanto il nesso di causalità tra le condotte omissive dell'infermiere A., che non ha provveduto ad avvertire per tempo il medico circa le condizioni del piccolo C.A. e del dott. S. che, sebbene dovesse sorvegliare la sala degenze, non aveva fatto neppure una breve visita di controllo al piccolo. Si osserva, a tal proposito, che il rapporto di causalità costituisce un criterio di imputazione oggettiva di un evento alla condotta di un soggetto; solo se l'evento può essere ritenuto ricollegabile alla condotta, l'agente potrà essere tenuto a risponderne, sempre che concorrano i criteri di imputabilità soggettiva. Peraltro, nella ipotesi di causalità omissiva, il decorso degli avvenimenti non è, nella realtà fenomenica, influenzato dall'azione (che non esiste) di un soggetto; per cui la causalità omissiva si configura come una costruzione giuridica ( art. 40 c.p., comma 2, che, non a caso, usa la locuzione "equivale": non impedire equivale a cagionare), che consente di ricostruire l'imputabilità oggettiva come violazione di un obbligo di agire, di impedire il verificarsi dell'evento (in violazione del cosiddetto obbligo di garanzia); omissione che provoca l'evento di pericolo o di danno (reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione); contrapposti ai reati omissivi propri nei quali il reato si perfeziona con la mera omissione della condotta dovuta.

Nei reati omissivi impropri, quindi, la causalità, proprio per essere giustificata in base ad una ricostruzione logica e non in base ad una concatenazione di fatti materiali esistenti nella realtà ed empiricamente verificabili, costituisce una causalità costruita su ipotesi e non già su certezze. Si tratta quindi di una causalità ipotetica, normativa, fondata, come quella commissiva su di un giudizio contro fattuale ("contro i fatti": se l'intervento omesso fosse stato adottato, si sarebbe evitato il prodursi dell'evento?) alla quale si fa ricorso per ricostruire una sequenza che, però, a differenza della causalità commissiva, non potrà mai avere una verifica fenomenica.

Con la sentenza Franzese del 10 luglio 2002 n. 30328 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno posto un punto fermo su questa complessa problematica.

Secondo la sentenza di cui sopra "nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato sulla base di un giudizio di alta probabilità logica, sicchè esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva".

Pertanto, in tema di causalità nei reati omissivi impropri, può pervenirsi al giudizio di responsabilità solo quando, all'esito del ragionamento probatorio, che abbia escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata e "processualmente certa" la conclusione che la condotta omissiva dell'imputato è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con "alto o elevato grado di credibilità razionale" o "probabilità logica". Ciò premesso si osserva che i ricorrenti si dolgono del fatto che non sarebbero state valutate delle circostanze che farebbero venire meno il rapporto di causalità. Non sarebbe provata la connessione tra il decesso del bambino e i loro pretesi comportamenti omissivi. Tali doglianze dei ricorrenti non possono essere condivise sulla base delle considerazioni di cui sopra.

In conclusione la sentenza impugnata conclude correttamente per la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva tenuta dai ricorrenti S. e A. e il decesso di C.A., dal momento che, secondo periti, lo stesso si sarebbe potuto salvare, con alto grado di probabilità logica, se i sintomi da lui presentati fossero stati correttamente e tempestivamente valutati.

Per quanto infine attiene al secondo motivo del ricorso proposto dall'Azienda Ospedaliera "San Giovanni di Dio" di (OMISSIS), si osserva che la Corte di appello di Palermo ha revocato il capo della sentenza del Tribunale di Agrigento del 31.10.2005, con il quale era stata dichiarata provvisoriamente esecutiva la condanna al risarcimento dei danni pronunziata nei confronti della sopraindicata Azienda Ospedaliera di (OMISSIS), nonchè, per l'effetto estensivo, nei confronti di S.L.C. e A.D..

Per quanto poi attiene all'istanza di restituzione di quanto pagato, che l'Azienda Ospedaliera aveva già formulato nei motivi di appello, si osserva che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto di non potere provvedere ad una eventuale restituzione, attenendo la stessa a questioni di carattere civilistico, risolvibili autonomamente una volta divenuta definitiva la sentenza.

Parimenti non è accoglibile la doglianza concernente l'ammontare delle somme da liquidare alle costituite parti civili a titolo di risarcimento del danno, essendo tale determinazione di competenza del giudice di merito.

I ricorsi devono essere pertanto rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali oltre in solido alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili nel presente giudizio liquidate in complessivi Euro 4000 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, oltre in solido alla rifusione di quelle sostenute dalle parti civili nel presente giudizio liquidate in complessivi Euro 4000 oltre accessori come per legge.

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